Secondo lavoro sulla lunga distanza per la creatura Vargsang, nata dalla mente dell’omonimo ex leader dei tedeschi Graven, e secondo monolite di black metal vecchio stampo che non si discosta neppure di una virgola dai dettami più classici del genere, come del resto già avvenuto per il precedente “Call Of The Nightwolves”, risalente ad un biennio fa. Un album che fa dell’ortodossia e della coerenza più assolute i propri punti di forza e che riprende, lasciandole completamente immutate, le strutture di quella pietra miliare che fu “Under A Funeral Moon”. Ovviamente a qualunque fruitore medio di black metal queste sonorità non potranno che risultare arcinote e puzzare di stantio, ma, si sa, c’è modo e modo di copiare e la musica di questo solo project non va certo giudicata in base al grado di originalità e personalità perché altri devono essere in questi casi i criteri di valutazione. Vargsang non é sicuramente un novellino e sa come mettere insieme riffs elementari ma coinvolgenti e come instillare nelle proprie composizioni quel soffio sinistro e malvagio che le rende particolarmente gelide ed inumane. Tutti gli stereotipi dell’album black sono al loro posto: dall’artwork minimale in rigoroso bianco a nero, alle scritte no compromises all’interno del booklet, dalle chitarre ultra zanzarose alla batteria cadenzata e suonata sempre sugli stessi tempi, dalle vocals demoniache all’intro ed outro ambient. Tutti questi elementi, uniti al mestiere ed alle indubbie capacità compositive del nostro rendono la presente opera un lavoro più che sufficiente, che si ascolta con piacere, ma destinato inevitabilmente a confondersi nella miriade di uscite simili che affollano l’attuale panorama underground. Un disco che, se fosse stato pubblicato quindici anni fa avrebbe fatto la sua figura, ma che oggi non costituisce nulla più che un discreto esercizio di stile, per quanto non disprezzabile.
