Black Cilice – Transfixion Of Spirits

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Da anni ormai il Portogallo vanta una scena raw black metal da fare invidia a quella finlandese o francese dei primi anni novanta. Una manciata di gruppi (cito ad esempio i Vetala e i Voëmmr, già recensiti su queste pagine virtuali) che si agitano nei più bassi e profondi strati dell’underground tenendo in vita un certo tipo di sonorità e un certo tipo di attitudine, che fa del purismo il proprio credo unico ed assoluto. E siccome, citando Lovecraft, non è morto ciò che in eterno può attendere, ecco che a intervalli regolari uno di questi gruppi emerge per regalarci un frutto marcio e putrido, coltivato nella totale assenza di luce di qualche umida cantina ed opportunamente concimato con carcasse in decomposizione. È il caso dei Black Cilice (dovrebbe trattarsi di una one man band ma, come di consueto in questi casi, non si hanno notizie precise a riguardo), progetto per la verità attivò già da una decina di anni e con alle spalle ben quattro lavori sulla lunga distanza e la tradizionale sequela di uscite minori, che fanno curriculum per qualsiasi band di culto che si rispetti. La musica di questo misterioso enigma lusitano non è sostanzialmente cambiata nel corso degli anni e continua ad essere un black metal talmente grezzo e antimoderno che al confronto le prime produzioni dei Darkthrone e dei Black Funeral sembrano delle registrazioni estremamente professionali e curate. Un corpus monolitico che non viene scalfito da alcuna apertura di più ampio respiro e mantiene intatta la sua natura fredda e criptica, fatta di riff che si susseguono ossessivi ed implacabili, praticamente indistinguibili nel marasma sonoro, e creano un’atmosfera impenebratabile, carica di nerissimo ed arcano misticismo, forse più spettrale rispetto ai precedenti lavori, più focalizzati sulla pura espressione della violenza.

La batteria è un battito martellante, incessante e indistinto, che produce un poco rassicurante rumore di fondo, con pochissime e poco significative variazioni sul tema. La voce non è nient’altro che un ululato lontano, che non conserva neppure un barlume di umanità: l’eco del lamento di qualche demone risvegliato incautamente dal suo sonno ancestrale. Il suono è talmente riverberato e distorto che si ha davvero l’impressione che il disco sia stato registrato in qualche cupo antro nel bel mezzo di un bosco, in presa diretta: tutto è sporco e confuso e i Black Cilice non fanno assolutamente nulla per consentire all’ascoltatore di orientarsi in qualche modo nella nebbia completa generata dalle note, che si stratificano e si impastano le une con le altre, come onde ipnotiche che si sovrappongono senza alcuna soluzione di continuità.

Da questa breve descrizione è evidente come questo “Transfixion Of Spirits” sia un lavoro senza compromessi, impossibile da valutare in termini in qualche modo oggettivi: alcuni potranno essere rapiti dalla sua oscurità e lasciarsi trasportare nei meandri di questo intricato labirinto di morte; altri potranno esaltarsi nel constatare la sua estrema fedeltà ai canoni di un black metal totalmente misantropico, che volutamente non vuole piacere a nessuno e si vanta del proprio piglio elitario; per altri sarà fuori tempo massimo, anacronistico e ostinatamente ancorato ad un sound ormai superato; per altri ancora semplicemente inascoltabile, alla stregua di qualche inutile demo fatta in casa, come ne uscivano a decine a metà degli anni novanta, quando il black metal esplose a livello planetario e ogni adolescente disagiato che scopriva quella musica e quell’attitudine, benché privo di talento, si convinse di poter dare sfogo al proprio vituperato estro artistico violentando la chitarra appena comprata, sulle orme dei tanto amati maestri norvegesi (che, benché disagiati, di talento invece ne avevano moltissimo). Francamente non saprei come pormi, tanto che la valutazione numerica che ho deciso di assegnare deve essere intesa in modo del tutto indicativo. Ha ancora senso suonare in questo modo, esaltando oltre ogni limite il concetto stesso di grezzume? D’altra parte, perché no? In definitiva ognuno potrà trarre le proprie conclusioni: se amate il putridume sonoro e le atmosfere mistiche e indecifrabili, fatevi avanti; sappiate però che arrivare al termine del disco non sarà impresa facile, neppure per l’orecchio più allenato.