Attivi dal lontano 1997 e con ben sei lavori sulla lunga distanza alle spalle (questo “Diabel” è il settimo della serie), i polacchi Non Opus Dei, sebbene forse non molto noti al grande pubblico metallico, non sono certo gli ultimi arrivati. La band capitanata dal cantante e chitarrista Klimorh – peraltro unico membro superstite della line up originaria – ha da sempre cercato, con alterne fortune, una propria personale via al black metal, unendo suggestioni death oriented e tentazioni moderniste alle sonorità più classiche e condendo il tutto con liriche a sfondo magico e occulto. Quest’ultima fatica non sfugge a questa costante e mette in mostra un approccio inusuale ed atipico alla materia black, che ultimamente sembra essere proprio di molti gruppi provenienti dalla Polonia (penso ad esempio a Mord’A’Stigmata e Illness): fin dall’opener “Milk Of Toads” l’ascoltatore più attento non potrà infatti non notare il piglio progressivo della band, che mescola con buona efficacia riff pesanti e granitici ad aperture melodiche, con una sezione ritmica ora frenetica ora più cadenzata. Per tutta la durata dell’album, spaziando tra svariate influenze (non mancano momenti più heavy ed altri più doomeggianti, così come qualche richiamo agli ultimi Behemoth), i nostri si mantengono pur sempre all’interno dei confini del black metal, pur declinando il genere in modo stravagante e difficilmente classificabile. Dando sfogo alle loro pulsioni sperimentali, i Non Opus Dei mettono in mostra un songwriting avanguardista, forse poco digeribile per i puristi più incalliti ma certamente non privo di fascino ed anche di una certa orecchiabilità di fondo, che lo rende a tratti accattivante ed immediato. Nei passaggi migliori del disco la band riesce insomma a soddisfare sia il lato emotivo che quello tecnico, il che non è cosa da poco: “Diabel” nel suo essere ibrido e nel suo collocarsi a metà strada funziona discretamente ed un ascolto è certamente consigliato.
