Lamastu – Death To All

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A volte è piacevole constatare come il caro vecchio raw black metal, quello più ruvido, grezzo e classicamente concepito e suonato, sia ancora estremamente vitale e in grado di suscitare emozioni viscerali e condurre l’ascoltatore in luoghi oscuri e desolati. Prova ne è questo lavoro sulla lunga distanza degli spagnoli Lamastu, edito in formato digitale, che ricalca fedelmente i sentieri della tradizione e, nonostante questo, riesce ad essere un disco efficace e a suo modo fresco e coinvolgente. La band, originaria di Madrid, ha alle spalle il full length di debutto (“Witchcraft” del 2015) e un successivo breve ep (“No Presents For Christmas” dello stesso anno), che non ho avuto modo di ascoltare ma che potrei giurare essere improntati sulle medesime coordinate stilistiche di questo “Death To All” (titolo forse banale ma emblematico delle bellicose intenzioni musicali dei nostri), ovvero un black metal veloce e tirato, di stampo chiaramente darkthroniano, influenzato in parte dalla lezione delle indimenticate Legiones Noires e dal vecchio sound di scuola polacca. Insomma black puramente e semplicemente “anni ‘90”, senza fronzoli e senza pretese di innovazione, caratterizzato dal consueto riffing tagliente, ossessivo e minimale, da cascate di blast beats (con qualche soluzione più rallentata e molte melodie, perché i nostri badano anche alla creazione della giusta atmosfera) e da un cantato indemoniato che privilegia le urla sguaiate e folli e che rappresenta a mio giudizio il vero valore aggiunto di pezzi già di per sé estremamente cattivi e sporchi (davvero bravo il singer che mi ha molto ricordato il miglior Maniac). Per restare in terra iberica li potremmo paragonare ai Primigenium, per la furia sprigionata da ogni singola nota: senza dover aggiungere altro, ascoltate canzoni come “Blood And Iron”, “Rats” e “From Darkness To Ligth” e, se avete amato la così detta second wave, non potrete certamente restare indifferenti. In fondo il black metal è questo.