VIII – Decathexis

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VIII è il nome di un interessante progetto black, che, per mero amore di sintesi, definisco d’avanguardia, considerati i vari elementi (sludge, math, drone) che in realtà lo compongono. Il duo cagliaritano composto da DrakoneM e Mark, già sulle scene un paio d’anni fa con “Drakon”, per i tipi della Black Plague Records, torna oggi a far parlare di sé, e lo fa nel modo migliore, con un disco, “Decathexis”, fornito di tutti gli strumenti per lasciare un segno profondo. Strumenti chirurgici, perché sul tavolo operatorio degli VIII c’è la stessa mente umana, descritta con lucida follia nel baratro psicologico di un progressivo distacco dalla realtà, una regressione totale in cui si perde interesse per qualsiasi cosa, incluso sé stessi. Concept album piuttosto sui generis, per volontà non narrativa, quanto piuttosto espressionista, “Decathexis” funziona, negli intenti della band, “come una metastasi che divora ogni cellula di un corpo morente, utilizzando il nichilismo quale cappio a cui impiccare sé stessi, liberandosi dal marciume”. Espressioni chiare, che evocano le acuminate proposizioni dei vari Nietzche, Cioran, Caraco e Bataille, e perfettamente tradotte in musica attraverso tre lunghi episodi, intitolati non a caso “Symptom”, “Diagnosis” e “Prognosis”, quali momenti salienti di un processo senza soluzione di continuità. Il sound messo in atto è cupo, torbido e mutevole, come i pensieri di una mente contorta, in cui varie epifanie sonore si succedono, in un teatro degli orrori inquietante, nella sua potenziale universalità. Per certi versi simili per approccio ai Deathspell Omega meno liturgici, ma sopratutto, per duplice vicinanza, ai concittadini e compagni d’etichetta (Third-I-Rex) Abisso, gli VIII sono il suono della rovina e del decadimento mentale, una raccolta che insegue le fantasmatiche apparizioni di schegge e brandelli di senso (cfr. le intelligibili linee melodiche di sax e piano) in un oceano di allucinatoria disperazione. Ascolto decisamente consigliato a chi non ha paura di avventurarsi nei territori più ostili e minacciosi del metallo nero… e della propria mente.