Mayhem – Abhor – Sacradis – Frangar

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21-05-2006, Thunder Road – Codevilla (Pv)

Per una volta voglio giocare a fare quello true, rimpiangere i bei tempi andati e mandare a fanculo i Mayhem che, dopo le ultime imbarazzanti uscite discografiche, hanno dimostrato una volta per tutte di essere ormai soltanto la parodia di quella che fu una band imprescindibile per l’intero movimento. Ma andiamo con ordine. Arrivo al Thunder Road mentre una certa quantità di persone sta attendendo fuori dal locale, evidentemente richiamata dal nome importante degli headliners ed ignara dello spettacolo indegno al quale assisterà di lì a poco.

Ad aprire le danze sono i novaresi FRANGAR, autori di un black metal freddo di classica matrice darkthroniana, violento ma con la giusta atmosfera “nordica”, anche se italianissimo nei contenuti. Intro ed outro costituite da stralci di discorsi mussoliniani e un bel rotolo di filo spinato a separare il palco dal pubblico mettono in evidenza le intenzioni guerresche della band che snocciola praticamente tutti i pezzi dell’omonimo demo, tra i quali spicca per potenza ed efficacia del riffing l’opener “Lupi Bianchi”. Nonostante la resa sonora non sia delle migliori la loro prova risulterà a fine serata la più convincente del lotto.

Sull’esibizione di SACRADIS e ABHOR ho veramente poco da dire. I primi, nonostante possano vantare un discreto seguito, li ho trovati assolutamente confusionari e inconcludenti (non che su disco siano granché meglio); dei secondi ero invece curioso di saggiare in sede live la (vera o presunta) svolta stilistica verso lidi più estremi e meno “occulti“, non avendo ancora avuto modo di ascoltare il nuovo “Vehementia”. Che dire? I suoni al Thunder Road hanno sempre fatto abbastanza pena ma questa sera si è veramente superato ogni limite: strumenti che non si distinguevano l’uno dall’altro, voce che andava e veniva, cassa della batteria che faceva tunz tunz modello discoteca e altre amenità di questo tipo. In pratica più di un’ora di rumore inascoltabile.

Ed ecco la volta dei MAYHEM. Allora da dove comincio? Attila si presenta on stage indossando un paio di pantaloni improponibili, grembiule da macellaio sporco di sangue, maschera antigas a mo’ di cappello (che lo fa assomigliare terribilmente al grande puffo e che per fortuna si toglierà di lì a poco lasciando la sua ormai non più foltissima chioma fluire liberamente…) e brandendo una mannaia (che invece non mollerà per tutta la durata dello spettacolo…). Ironia? Chi lo sa? Blasphemer e Necrobutcher si posizionano staticamente ai lati del palco; Hellhammer sta dietro le pelli ma nessuno lo vede. Pronti via, parte “Funeral Fog”, Attila urla ma non si sente una mazza. Zero voce. Non si riesce a capire se si tratti di un problema al microfono o di carenza di voce da parte del singer, fatto sta che la song viene eseguita praticamente in modo strumentale e lo stesso accadrà in seguito con “Freezing Moon” e con diversi altri pezzi.

I norvegesi, al di là dei problemi tecnici, offrono comunque uno spettacolo orrendo, suonano svogliatamente, senza passione, senza cattiveria e senza professionalità. Il suono della chitarra è troppo leggero, non c’è un’oncia dell’atmosfera che aveva reso immortali le canzoni di “De Mysteriis Dom Sathanas”. La scaletta grida vendetta, ci sono ben due estratti dall’ultimo “Chimera” e addirittura uno da quella cagata inenarrabile che risponde al nome di “Grand Declaration Of War”, mentre vengono ignorati capolavori come “Necrolust” o “Pagan Fears”. Lo show dura solo una quarantina di minuti ed in fondo è un bene perché si ha davvero la sensazione che il gruppo sia lì solo per timbrare il cartellino. Delusione e raccapriccio…