Celtic Frost – Morbid Tales

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Il 1984 è decisamente un anno cruciale per il metal estremo tutto: in quell’anno vengono infatti pubblicati l’omonimo album di debutto dei Bathory, “At War With Satan” dei Venom, “In The Sign Of Evil” dei Sodom, “Apocalyptic Raids” degli Hellhammer ed appunto “Morbid Tales”, esordio degli elvetici Celtic Frost, band nata dalle ceneri proprio degli Hellhammer e capitanata dal mastermind Tom G. Warrior. Tutti lavori fondamentali, che rappresentano altrettante pietre angolari per lo sviluppo futuro di black, death e thrash metal, generi che ai tempi presentavano molte più affinità che divergenze. “Morbid Tales”, con il suo approccio ingenuamente esoterico e la sua aura macabra, è la culla di ogni nefandezza a venire; qui nascono le radici del male: un ep di circa venticinque minuti di durata, che racchiude in sè tutti i germi concettuali e stilistici di quella che sarà la primissima ondata del black metal scandinavo e non solo: basti pensare agli evidenti debiti, più o meno consapevoli ed a livello sia musicale che di immagine, che hanno verso questo disco gruppi come Morbid, primi Mayhem e, soprattutto, Darkthrone, solo per citarne tre tra i più influenti. Ad esempio quando si parla di classico mid tempo darkthroniano, bisognerebbe in tutta onestà parlare di ottima rilettura e riproposizione di un’impostazione compositiva vagamente doomish che nasce proprio con questo lavoro dei Celtic Frost. Tom G. Warrior e soci partoriscono infatti un’opera giocata non solo sulla violenza e sulla brutalità spinte all’eccesso per gli standard del periodo (molto più d’impatto sarà il successivo “Emperor’s Return”), quanto piuttosto sulle atmosfere oscure, criptiche e morbose cui riescono a dare magistralmente forma attraverso episodi lineari ma dannatamente efficaci nella loro immediatezza quasi elementare. Il riffing è estremamente secco e basilare: talvolta più incalzante ed irruente come nelle feroci “Into The Crypt Of Rays” e “Nocturnal Fear”, brani che non possono non far pensare ai Kreator prima maniera; talaltra più incline a rallentamenti dal sapore sabbathiano, che si portano dietro un inconfondibile odore di zolfo, come nella celeberrima “Procreation Of The Wicked” o nell’altrettanto tenebrosa “Visions Of Mortality”. Il cantato di Tom G. Warrior, che non è ancora definibile come screaming ma si avvicina a questo stilema, si staglia stentoreo ed aggressivo sulle note, roco come il latrato di un lupo. Non si può prescindere da questo primo demoniaco vagito di una creatura multiforme, che seppe nel corso degli anni rinnovarsi nel sound e nell’approccio musicale, dando vita a lavori sempre originali e sorprendenti (l’altro picco creativo dei Celtic Frost è “Into The Pandemonium”, capostipite dell’avantgarde). Inutile precisare che siamo di fronte ad un disco che va obbligatoriamente posseduto e gelosamente custodito. Are you morbid?