Finalmente è arrivato il plico che stavo aspettando. È lì, nella cassetta della posta, classica carta marroncina, mittente scritto in elegante calligrafia, francobolli. Lo estraggo e, proprio come mi immaginavo, sento una piccola forma rettangolare sotto la carta, sicuramente un’audiocassetta. Salgo le scale, apro la porta, febbrilmente scarto il pacchetto e nell’estrarre la reliquia del tempo che fu mi accorgo che è accompagnata da incenso e un piccolo foglio arrotolato sigillato con una goccia di cera rossa. Così si presenta “Dor De Noapte”, demo di debutto degli italiani Stendhal’s Syndrome, che vede la luce sotto l’egida della piccola Obsidian Light Collective ed è ispirato dalla figura di Mihai Eminescu, scrittore tardo romantico e probabilmente il più noto poeta rumeno. Un tuffo nel passato perché ad oggi è estremamente raro ricevere promo fisici, e in questo caso l’aristocratica eleganza della confezione conferisce senz’altro un valore aggiunto al lavoro. Musicalmente abbiamo a che fare con tre brani per quasi trenta minuti di durata di un buon depressive black metal con influenze atmosferiche e blackgaze. L’opener “Dor” si apre con una sezione recitata di stampo cinematografico accompagnata da un suadente e melodico arpeggio di chitarra; la voce narrante lascia poi spazio ad uno struggente assolo che introduce la sofferenza della linea vocale, vicina per certi versi alle atmosfere dolorose create da Tassi nel suo recente “Idamon Novasah-Liva”. Azzeccata l’idea di inserire uno stacco campionato per spezzare e rendere più digeribile il pezzo, mentre un successivo cambio di velocità, impreziosito da un martellante tappeto di doppio pedale e blast beats, accompagna verso la chiusura di questa prima traccia.

La trascinante ed ipnotica ritmica in levare di “De Noapte” prosegue il viaggio in un’oscurità che si fa sempre più pesante e palpabile, incarnandosi ancora una volta soprattutto nella soffocante e opprimente disperazione del cantato. “Exiliatul”, il pezzo conclusivo, è forse quello più emotivamente coinvolgente: permeato di un’atmosfera eterea, galleggia come una piccola barca di legno alla deriva sulle calme acque di un lago nero, con la volta celeste e il suo riflesso a creare una sfera nella quale perdersi all’infinito.

È evidente lo sforzo del duo nostrano nel dare corpo a un lavoro quanto più possibile personale e con uno stile proprio e riconoscibile, e nella riuscita finale credo che abbia giocato un ruolo decisivo la scelta di affidarsi ad un suono dall’inconfondibile sapore low-fi anni novanta, esaltato dal fruscio del nastro sulle testine: probabilmente un approccio più “pulito” non avrebbe impresso ai pezzi lo stesso spessore emotivo. Un lavoro curato al quale gli amanti delle sonorità black dal tocco atmosferico dovrebbero dare un ascolto.









