Storia travagliata quella dei Pest tedeschi, da non confondere con almeno altre quattro o cinque band che portano lo stesso nome. Stiamo parlando di un quartetto nato nella seconda metà degli anni novanta, con radici musicali ben piantate nel classico sound black metal “true” e minimale di matrice sostanzialmente norvegese che allora dettava legge e che i nostri amici declinavano con un tocco particolare, a metà strada tra il decadente e il medievale, come del resto suggeriva il loro moniker. Su queste basi diedero alle stampe una manciata di album, tra i quali il più interessante resta forse “Vado Mori” del 2004, finché la loro carriera ebbe un’improvvisa battuta d’arresto, che sembrava definitiva, con il decesso del batterista e membro fondatore Mrok. Ma oggi, ad oltre dieci anni di distanza dalla pubblicazione dell’ultimo e postumo “Buried”, eccoli letteralmente risorgere dalla tomba con questo nuovo album, scritto e suonato dagli altri membri originali del gruppo, ovvero Scum, adesso dietro le pelli, Atax alla chitarra e alla voce e Mr. Blasphemy, anche lui alla voce.

E considerata l’impostazione compositiva della band non è per nulla sorprendente constatare come per i Pest il tempo sembri davvero essersi fermato, tanto questo “Eternal Nightmares” suona fedele al loro caratteristico trademark, fatto di riff ossessivi e ipnotici, blast beats martellanti e voci monotone e cariche di sofferenza: insomma black metal classico e regressivo come vecchia scuola comanda. Probabilmente però il lungo tempo trascorso ha fatto in modo che l’ispirazione sedimentasse a dovere perché in effetti i riff in questo album sono in gran parte piuttosto riusciti ed è poi questo che in fin dei conti fa la differenza in un disco così lineare e tradizionalmente concepito, anche per quanto riguarda la registrazione sporca e soffocata. Sono convinto che anche gli ascoltatori più smaliziati e non proprio di primo pelo, quelli cresciuti a pane e vecchi Darkthrone per intenderci, possano godere della ferale violenza sonora della title track o perdersi nel vortice nebbioso della doppietta centrale formata da “Winds Of Death” e “Running In Rage”, dove emerge in maniera più netta l’approccio vagamente medieval/folk delle chitarre, o ancora affondare definitivamente nella melmosa e lunare sofferenza di “Nights Embrace”.

Tutte canzoni estremamente semplici e ripetitive che tuttavia hanno proprio in questi elementi il loro punto di forza, in questo loro stare alla larga da ogni influenza esterna rifugiandosi in una sorta di genuinità primordiale che in questo caso riesce ad avere senso e coerenza perché non è sfacciatamente sbandierata e soprattutto non fa rima, come troppo spesso accade, con mera e scolastica imitazione dei propri modelli di riferimento. Pare superfluo aggiungere che i nostri amici non inventano niente né hanno mai inventato niente ma non è certo l’originalità quella che dobbiamo cercare in lavori di questo tipo. Nel loro piccolo e con tanto sudore i Pest si sono ritagliati il loro spazio nel vasto libro del black metal e questa loro nuova fatica è un buon prodotto di artigianato underground che potrà piacere tanto ai nostalgici quanto alle nuove leve.









