Make a Change… Kill Yourself – Make a Change… Kill Yourself

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Un disco del genere o lo si ama alla follia oppure lo si odia dal profondo del cuore. Fatta questa piccola e doverosa premessa mi appresto a recensire questo album del progetto dall’eloquente monicker “Make A Change… Kill Yourself”. Ritengo opportuno precisare che dietro a questa creatura oscura e malata si nasconde il mastermind Ynleborgaz, già leader e unico membro di Angantyr, qui coadiuvato da Demonica, autrice di sporadiche ed occasionali voci femminili che dovrebbero rendere l’atmosfera ancora più perversa di quanto già non sia. Come suona dunque questo disco? La risposta è di una semplicità disarmante: Depressive Black Metal, nella sua forma più pura ed incontaminata, impreziosito da stralci dark ambient posti qua e là in modo da rendere il tutto il più estremo ed indigeribile possibile. Già, perché credo che difficilmente questo disco rimarrà saldamente ancorato ai vertici della vostra playlist (a meno che voi non pensiate seriamente e costantemente al suicidio), poiché la proposta è davvero particolare e di difficile assimilazione. Riff dalla melodia triste e disarmante ripetuti volutamente fino alla nausea, una sezione ritmica statica ed ipnotica costantemente poggiata su tempi lenti ed ossessivi, vocals lancinanti e disperate, un atmosfera grigia e malinconica che pervade per l’intera durata, di ben 71 minuti, un viaggio nei meandri più scuri dell’animo umano, intriso di sofferenza e perdizione. C’è comunque da dire che la proposta, sotto alcuni aspetti, non si distingue poi troppo dai lavori di Angantyr, specie per quanto riguarda il sound delle chitarre e le melodie malinconiche, ma qui il tutto è portato all’estremo, all’eccesso, volto a ricreare nell’animo dell’ascoltatore il più totale senso di sconforto. Solitudine, tristezza, rabbia, paura, questi i sentimenti che affiorano durante l’ascolto, che nota dopo nota, si fa sempre più angosciante, ma allo stesso tempo interessante, grazie indubbiamente alla classe indiscussa del compositore, che dona al mood in questione la capacità di non cadere nello scontato e nel banale (cosa non certo facile), e che, come già detto in precedenza, anche grazie ad alcuni momenti più ‘soft’ riesce a miscelare con estrema saggezza la più incontaminata disperazione a intermezzi decisamente più intimisti e riflessivi, rendendo il tutto decisamente più vario e coinvolgente, pur sempre correndo sul medesimo filo conduttore. A prova di questo non ci sono titoli, semplicemente l’opera ci viene proposta in 4 differenti capitoli, che possono essere riassunti come la perfetta colonna sonora per il suicido. Per concludere una nota di merito va anche alla copertina, che rispecchia chiaramente ogni contenuto. Insomma, un album nero come la pece, riservato a pochi, capace di suscitare emozioni funeree e depressive… insomma, da amare o da odiare…