Imago Mortis – Carnicon

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“Carnicon” (antica ed ormai scomparsa parola che significava qualcosa come “fossa comune”) è la terza fatica sulla lunga distanza – edita da Drakkar Productions in edizione limitata a mille copie – per i lombardi Imago Mortis, band certamente nota agli aficionados della scena underground nostrana, e segue a cinque anni di distanza il suo predecessore “Ars Obscura”. Cinque anni nei quali il quartetto bergamasco ha affinato le proprie capacità compositive ed esecutive, levigando un sound che resta pur sempre fedelmente legato all’ortodossia della vecchia scuola ma riesce anche ad essere calato nel presente, grazie soprattutto ad una produzione molto heavy, che equilibra bene voce e strumenti, conferendo ad entrambi la giusta profondità e potenza. Da sottolineare la cura quasi maniacale che la band sembra aver posto in ogni minimo dettaglio di questa release, a partire dall’aspetto grafico e dai testi, scritti in italiano, latino e dialetto, spiegati in modo esaustivo nel booklet (che vi consiglio di leggere con attenzione): le liriche dipingono brevi narrazioni di carattere horror/gotico, ispirate a fatti storici, trattando di vecchie leggende legate alla notte di Samain, di processi sommari contro donne accusate di praticare la stregoneria, di misteriose sedute spiritiche e di oscure pratiche di negromanzia. Un’aura magico-esoterica che dalle parole si trasferisce alla musica (e viceversa), creando un tutt’uno inscindibile ed assolutamente affascinante, che pone questo disco nel solco della migliore tradizione del metal occulto di matrice tricolore, che fa capo ai vari Mortuary Drape, Abhor e Necromass. Stilisticamente siamo ancorati ai classici stilemi del true black metal, reinterpretati però con grande personalità e senza rinunciare ad influenze che vanno a pescare direttamente nel metal ottantiano più cupo e misterioso, chiamando in causa nomi del calibro di Mercyful Fate, King Diamond e Angel Witch. I pezzi sono tutti di lunga durata e strutturati su numerosi cambi di tempo ed atmosfera, ben orchestrati su linee di chitarra essenziali ed asciutte, che conducono l’ascoltatore in questo viaggio iniziatico, mantenendo un’impronta minimale e rifuggendo qualsiasi soluzione troppo cervellotica. L’afflato rituale resta costantemente in primo piano, anche negli episodi più feroci e “in your face”, come “Lümere”, dalla quale trasudano suggestioni thrash oriented, comunque sempre presenti sottotraccia nel songwriting della band. Una parola di elogio merita anche la prova dietro il microfono del singer Abibial, che vomita la sua rabbia iconoclasta con urla ruvide e sgraziate: veramente pare di udire i lamenti strazianti di una strega al rogo. A delle fondamenta sonore che già erano solide (e le precedenti uscite del gruppo sono lì a dimostrarlo), gli Imago Mortis aggiungono un notevole lavoro di cesello, ad incorniciare un’opera matura e pregna di svariati riferimenti culturali: il tassello finora più completo di una discografia che ha sempre visto previlegiare la qualità rispetto alla quantità.