Melencolia Estatica – Hel

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Esce il terzo album dei Melencolia Estatica, band nostrana sulla scena ormai da un po’ di anni. I lavori precedenti, legati tra loro da un concept univoco, fatto di malinconia e violenza, trovano in questo “Hel” il loro compimento e, al contempo, la loro cancellazione. Stilisticamente il progetto prende una decisa virata verso soluzioni sperimentali e atmosferiche. Complessivamente il disco mostra la solita cura nei dettagli, unita a una vena aristocratica, dove per aristocratico intendo un certo suono caotico ma anche delineato e ammiccante. Il sound si fa pieno, echeggia dove l’elettronica prende il sopravvento, si arricchisce di dettagli psichedelici e riflessivi. Sicuramente gli aspetti migliori sono la produzione, personale e incisiva, il lavoro delle chitarre in alcuni frangenti, in cui il riffing diventa padrone della scena, e la buona prestazione vocale del nuovo cantante, rituale e teatrale, che quasi ricorda Attila Csihar. Un inizio convincente si perde lentamente nell’eccessiva sperimentazione, nell’abuso di tecnicismi ottimi ma poco finalizzati all’interezza dell’opera. Troppo fumo e poco arrosto, per essere chiaro. Le atmosfere desolanti e disumane sarebbero state amplificate da una sostanza più decisa, dalla capacità di fondere in maniera totale la violenza all’atmosfera, di mantenere l’identità ultima dei brani senza privarli della velleità di stupire. Ciò non toglie che il disco è ben realizzato e interpretato, che “Hel II” ad esempio è un ottimo brano, e che incoraggiare tentativi di sperimentazioni varie è doveroso se non auspicabile. Dico che questo “Hel”, in alcuni tratti, mi pare una forma di “masturbazione”, che non colpisce l’ascoltatore ma esiste per sé. Detto questo, l’album è consigliabile, dopotutto, principalmente agli estimatori di sonorità oscure e depresse, in stile ultimi Shining.