Kawir – Aδράστεια

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“Aδράστεια” , o più semplicemente “Adrasteia”, segna il ritorno degli ellenici Kawir e consolida il sodalizio con la Iron Bonhead, forgiando il terzo sigillo in soli cinque anni. Sicuramente meno noti di altri colleghi provenienti quella magnifica terra che è la Grecia, i Kawir sono una di quelle band che negli ultimi anni stanno vivendo una seconda giovinezza, grazie alla capacità di rinnovarsi senza mai snaturare il loro sound dai connotati mistici e pagani. Scordiamoci quindi l’adorazione del maligno, la misantropia, le foreste innevate, il Valhalla e, più in generale, tutti i clichès tipici del black, e dedichiamoci alla lezione di mitologia pregevolmente tenuta dal gruppo ateniese, che comprende vendette, omicidi e quant’altro possa rendere cruenta una storia. “Aδράστεια” combina perfettamente la rabbia efferata di “Εξιλασμός” e le divagazioni epicheggianti di “Πατερ ’Ηλιε Μήτερ Σελάνα”, mantenendo i tratti distintivi che caratterizzano da anni il sound del combo capitanato da Therthonax, contraddistinto dall’uso di strumenti come il flauto e dal sapiente utilizzo di voci pulite e corali. Come da tradizione le canzoni sono legate da un filo conduttore e rappresentano una sorta di contraltare rispetto al precedente lavoro in studio; infatti se “Εξιλασμός” era incentrato su figure maschili, “Aδράστεια” (ninfa che si prese cura di Zeus, sottraendolo alla voracità di Cronos) pone l’accento su donne eroiche, spesso e volentieri assetate di sangue, cantate in ognuno dei pezzi che compongono il lavoro. Già dalle prime note di “Tydeus” ci rendiamo conto che il disco sarà l’ennesimo viaggio tra i culti pagani di un tempo. Il pezzo ha un incedere epico e marziale; non spinge sull’acceleratore ma enfatizza le caratteristiche del sound dei Kawir, tra apoteosi corali, l’alternanza tra fraseggi melodici e chitarre acustiche e uno scream molto aggressivo. Dopo un apripista lento e cadenzato ci si aspetterebbe la sfuriata primordiale. E invece “Atlanti”, uno dei migliori episodi del disco, ci smentisce con i suoi mid tempos epici al limite del barocco, carichi di pathos ed emozioni contrastanti, alternati a sferzate di blast beats che non lasciano scampo, con un lavoro di chitarra davvero egregio.

“Danaides” invece ci scaglia addosso tutta la brutalità della band. È il pezzo più tirato e veloce e canta le gesta delle Danaidi, le cinquanta figlie di Danao, re di Libia, protagoniste di mitologiche vicende da cui sarebbe derivata l’origine del popolo dei Danai, cioè i Greci. Il brano è articolato su tempi capaci di far esplodere un metronomo, con un break centrale più ragionato ed epico, e si conclude con la stessa furia distruttiva con cui era iniziato. Anche “Limniades” è una song violenta, strutturalmente sulla falsa riga della precedente ma abbellita da inserti epici che rendono giustizia al tema trattato, in questo caso le ninfe delle acque, tanto belle quanto letali. È giunta l’ora della ricreazione per noi diligenti alunni. Therthonax e compagni ci deliziano con un break strumentale di elevatissimo spessore, interamente suonato con strumenti tradizionali e abbellito da voci femminili: “Colchis” è dedicato alla Colchide, destinazione degli Argonauti, area geografica situata nell’attuale Georgia occidentale che, viste le favorevoli condizioni geografiche e naturali, attrasse molti colonizzatori greci. La lezione si conclude con “Medea”, senza mezzi termini uno dei migliori capitoli della lunga discografia della band greca.

Una canzone epica, un articolato sentiero variegato dove la band riesce a esprimere tutto il suo repertorio tecnico e culturale, unendo black metal e mitologia, partendo con sfrontata brutalità per poi dare sfogo a costanti mutazioni, tra tappeti di doppia cassa e intermezzi più folkloristici, con le chitarre che tessono mistiche melodie. Medea (il cui nome significa “astuzie”, “scaltrezze”) è uno dei personaggi più noti, controversi e sanguinari della mitologia greca, protagonista tra l’altro della celebre tragedia di Euripide: a lei viene dedicato l’album. In conclusione degni di menzione sono gli ospiti presenti, che contribuiscono alla buona riuscita dell’album: Alexandros dei Macabre Omen che ha collaborato ad alcune parti vocali pulite, Ashmedi dei grandi Melechesh che suona un assolo di chitarra su “Danaides” e Lindy-Fay Hella dei Ward che presta la sua candida ed eterea voce su “Colchis”. “Aδράστεια”, pur non sfociando nel capolavoro, scorre in maniera assolutamente piacevole, con picchi qualitativi notevoli e senza mai risultare forzato negli arrangiamenti, assestandosi sui livelli dei due riusciti dischi precedenti. I Kawir, nonostante gli svariati cambi di formazione nel corso degli anni, sono sulle scene da quasi trent’anni e si confermano una band autorevole che è riuscita a forgiare nel tempo un sound del tutto personale e riconoscibile, selvaggio e tribale, tragico ma solenne.