Un disco diverso da quelli che solitamente trattiamo su queste pagine virtuali, “Widma” (in polacco “spettri”) è il nuovo album, il terzo dopo l’omonimo debutto del 2016 e “Mszarna” del 2018, di Ols, un progetto neofolk decisamente oscuro, una one woman band che si muove come una creatura di sogno tra regni magici di foreste nebbiose e misteriose paludi cariche di umidità. Si tratta di un progetto solista nel vero senso della parola, dal momento che colei che vi si cela, ovvero la talentuosa e bella Anna Maria Oskierko, compone integralmente musica e testi, canta e suona tutti gli strumenti. Siamo ovviamente lontanissimi, almeno a livello squisitamente musicale (molto meno a livello lirico e concettuale) dal black metal e da qualsiasi forma di metal, perché la proposta di Ols è tenue e meditativa e risulta molto meno inquadrabile di quanto si potrebbe pensare ad un primo, superficiale, ascolto: unisce infatti musica folk a sfondo pagano, ambient (di quello più puro, costituito quasi esclusivamente da suoni della natura) e influenze provenienti (perché no?) da certo post-rock acustico carico di atmosfere malinconiche e surreali.
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Su queste trame strumentali si inseriscono ricche e armoniche soluzioni vocali polifoniche, a volte rilassanti come nenie della buonanotte, in altri casi cantilenanti ed ipnotiche come le invocazioni di qualche rituale dimenticato e sepolto dalla sabbia del tempo. La voce di Anna riesce comunque ad essere decisamente calda ed avvolgente in ogni sua manifestazione e rappresenta il contrappunto ideale ad una narrazione incentrata sul ciclo della natura, di cui l’uomo è percepito come parte integrante, sull’alternarsi delle stagioni, che porta con sé l’inevitabile alternanza tra la vita e la morte (Ols è una parola polacca che indica le foreste di ontani che crescono sulle paludi, quindi una forma vitale che trae la propria forza da qualcosa di morto).
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In particolare il concept è incentrato sulla fine dell’autunno, che nella vita umana corrisponde alla vecchiaia, e le canzoni guidano l’ascoltatore attraverso questa fase dolente e malinconica, sofferente ma non priva di dolcezza: la brina mattutina, i primi capelli grigi, l’arrivo dell’oscurità novembrina, la solitudine e in alcuni casi la perdita della lucidità, fino a che non sopraggiungono l’inverno e la quiete della morte, che tuttavia covano nel profondo i germi della rinascita primaverile, sotto una coltre apparentemente impenetrabile di neve e ghiaccio. Le suggestioni sono molte ed è un peccato non poter apprezzare in pieno i testi (provate a tradurli) ma la musica è sufficientemente eloquente e descrittiva, tra ballate neofolk, passaggi più inquietanti e stralci atmosferici, e la voce finisce per diventare uno strumento tra gli altri, anzi forse il più importante.
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Se si volessero fare degli accostamenti, si potrebbero chiamare in causa realtà folk come Of The Wand And The Moon, Wardruna, Heilung e Faun o, per restare più adiacenti a territori black, Myrkur, Agalloch e Alcest (questi ultimi due più che altro a livello di feeling ed atmosfere evocate). Insomma “Widma” non è un ascolto facile ed immediato, è un disco a suo modo ambizioso, che riesce ad essere insieme oscuro e carico di indefinibile speranza. Un’esperienza sonora consigliata, se volete sfuggire per circa tre quarti d’ora dalla realtà quotidiana ed immergervi in una dimensione sospesa a metà strada tra sogno e rievocazione del tempo che fu.