Definire gli Horn nel 2020 una band “underground” potrebbe forse rivelarsi errato e fuorviante, anche se la loro attitudine continua a renderli tali. Definirli una “cult band” probabilmente sarebbe più corretto, in quanto dopo quasi vent’anni di onorata carriera e otto full length alle spalle, la creatura dell’instancabile tuttofare Nerrath è riuscita a coniare uno stile ben definito e rispettato in tutto il panorama estremo, nonostante negli anni si sia lasciato alla spalle il marciume del black metal nel più stretto senso del termine, abbracciando uno stile che predilige il groove e le influenze hard n’heavy, spaziando nel thrash ma senza ovviamente mai dimenticare le proprie radici black. Tra visioni mistiche, racconti folkloristici e inni alla natura, “Mohngang”, ottava fatica per il mastermind tedesco, arriva a tre anni di distanza dal buon “Turm Am Hang”, di cui prosegue il discorso stilistico in maniera piuttosto coerente, senza eccessive novità, se non per una continua maturazione sia nel songwriting che nell’esecuzione. Nulla di nuovo potremmo dire, ed in effetti questa è la realtà, ma i fans degli Horn non hanno interesse ad ascoltare qualcosa di innovativo, perché si vestono con pelli di animali scuoiati a mani nude, indossano stivali di pelo fatti a mano, bevono da borracce vichinghe e vanno girovagando per foreste innevate alla ricerca di draghi e creature fatate anziché tentare di rimorchiare una bella ragazza in qualche pub come le persone normali.
Tuttavia, come ben sappiamo, quello di normalità è pur sempre un concetto relativo e la musica serve anche a ristabilire le gerarchie: pertanto se da una parte ci sono questi simpatici soggetti coperti di pelli di orso e dall’altra quattro sbarbati con camicia alla moda, agli Horn non frega proprio nulla, continuano a suonare il loro pagan/viking metal senza compromessi di sorta e senza guardare in faccia a nessuno. Una cover che trasmette freddo e desolazione è il miglior biglietto da visita per questo nuovo platter che inizia, dopo una breve intro, alla grandissima con due pezzi che sono tra i più riusciti del disco, ovvero la potente “Satt Scheint Der Sud Der Tat”, che ricorda in non pochi frangenti i maestri del viking Månegarm, e la successiva rockeggiante “De Står Her Somsletta”, una cavalcata epica che non può che lasciare il segno.
La capacità di Nerrath è quella di riuscire ad accontentare tutti nello stesso disco: e infatti dopo una prima parte più “in your face”, il blocco centrale formato dalla breve strumentale “Dulcimerstück “ e dalla lunga “Upstream Canals, A Ship’s Bell Sounds” ci dimostra come l’artista tedesco riesca a modulare con diverse sfumature le sue visioni musicali. Quest’ultimo è un brano atipico: una sorta di epic ballad totalmente corale che ci ricorda inevitabilmente i Bathory più epici e riesce a conquistarsi il posto più alto del podio. Ma la tavola apparecchiata dal nostro amico vichingo è ancora ricca e si chiude in bellezza con la maestosa “Ødegård Und Pendelschlag”, altro esempio di mid tempo evocativo dove l’interpretazione vocale da sola regge tutto il brano che, grazie a vari stacchi atmosferici, ci fa venire voglia di alzare il corno al cielo o indossare la cotta di maglia per la battaglia. L’altra faccia della medaglia è che, nonostante gli Horn suonino divinamente il loro genere, in maniera del tutto coerente con la loro storia, pure con questo buon “Mohngang”, per una serie di elementi che si susseguono nel disco, non riescono a fare il salto dal perimetro underground a quello più “mainstream”.
Molto probabile però, conoscendo la vita discografica della band, che si tratti di una scelta. “Mohngang” è un disco piacevole, suonato molto bene: se la band riuscisse a incrementare e valorizzare sia le clean vocals che i cori allora ci potrebbe essere la svolta e forse si arriverebbe a quell’upgrade che al momento ancora non c’è. Godiamoci comunque questa ennesima release che, ascolto dopo ascolto, cresce e riesce a farci fare un giro per fredde foreste tra folletti e osterie.