Atom – Horizons

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Atom è una one man band italiana. Di questo solo project non si conosce praticamente nulla se non che “Horizons” è il suo secondo lavoro sulla lunga distanza dopo l’esordio “Waiting For The End”, entrambi autoprodotti e disponibili in rete. Siamo al cospetto di quello che a tutta prima si potrebbe definire un album di raw black metal, ben bilanciato tra aggressività ed atmosfere più introspettive, il cui sound gelido e sferzante è radicato nella vecchia scuola norvegese dei primi anni novanta. Tuttavia questo lavoro non è per nulla scontato e prevedibile, come si potrebbe pensare dopo un ascolto superficiale. Infatti se il riffing più classicamente black crea un muro sonoro compatto, molti sono gli squarci e le aperture melodiche, che sembrano strizzare l’occhio all’heavy metal ottantiano: ascoltare per credere “Hazy Dreams”, certamente uno degli episodi migliori del lotto. In altri casi invece – come nella lunga suite “Atheist Manifesto” – la musica si fa più intricata e caratterizzata da numerosi e repentini cambi di tempo, mettendo in mostra un’anima vagamente progressiva (termine comunque da prendere con le dovute cautele). In altri frangenti ancora la monotonia e la linearità prendono il sopravvento ed il feeling diviene più cupo e notturno, fino a lambire territori vicini al depressive. Anche il cantato è sufficientemente vario: accanto ad uno screaming tagliente e piuttosto ortodosso, vi sono infatti parti in growl ed altre in clean vocals dall’andamento corale ed epico. I passaggi più furiosi e veloci chiamano in causa Koldbrann, Taake e primi Abyssic Hate, mentre i momenti più ipnotici e cadenzati rimandano a Burzum, Nargaroth e Striborg. Nonostante i principali riferimenti stilistici del nostro siano agevolmente individuabili, non siamo assolutamente di fronte ad uno degli innumerevoli dischi fotocopia usciti negli ultimi anni: personalità ed idee non mancano e la volontà pare essere quella di mantenere fede alla tradizione senza tuttavia farsi imprigionare nei consueti ed ormai abusati luoghi comuni del genere. Un lavoro interessante, che conferma il buono stato di forma della scena underground nostrana.