Kolossvs – The Line Of The Border

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Del progetto genovese Kolossvs ci eravamo già occupati in occasione della pubblicazione nel 2018 dello split di debutto in compagnia della concittadina one man band ManoN. Anche Kolossvs è un progetto solista, dietro al quale si cela il mastermind Helliminator, già mente e motore del solo project di matrice industrial black denominato T132. Dopo due anni dedicati alla composizione dei nuovi pezzi è ora la volta dell’esordio sulla lunga distanza, questo “The Line Of The Border” che vede la luce grazie all’etichetta russa Satanath Records. Dal punto di vista stilistico ci troviamo di fronte alla continuazione e alla naturale evoluzione del discorso iniziato sul precedente lavoro, legato a un black metal con marcate influenze viking, declinato tuttavia in maniera abbastanza personale. Di fatto si procede lungo i sentieri battuti nel corso degli anni dai vari Enslaved, Windir, Falkenbach, Fortid e Bathory, indiscussi e indiscutibili padri fondatori del genere.

La musica procede con la giusta dose di aggressività ma è forse la creazione di atmosfere tra l’epico e il tragico, sospese in una grigia nuvola di assorta malinconia, a rappresentare l’elemento di maggiore interesse del disco: atmosfere diluite nella nebbia del nord e rarefatte nei racconti di miti e leggende che sembrano riflettere in chiave spirituale un certo struggimento interiore ed una visione dolente della realtà e del mondo. Vi sono alcuni passaggi più riflessivi e meditabondi, veicolati attraverso momenti acustici e variazioni atmosferiche che costituiscono dei buoni stacchi tra un assalto furioso e l’altro; così come le ampie fughe strumentali, che hanno spesso un andamento ipnotico e sfuggente e scandagliano con piglio progressivo territori posti al confine della psichedelia. Questi squarci più sperimentali, ai quali fanno da contraltare alcuni passaggi in voce pulita, si inseriscono in strutture e trame black ordite con la classica accoppiata tremolo-blast beats, feroci e dirompenti, che però non disdegnano di liberarsi in più ariose divagazioni melodiche.

L’album, che vede la partecipazione in veste di guest vocalist in “Norge” niente meno che di Vicotnik (Dødheimsgard e Ved Buens Ende, tra gli altri), si lascia quindi ascoltare con piacere, pur non essendo affatto un’uscita di immediata assimilazione, e sarà apprezzato soprattutto dagli amanti delle sonorità viking-black più “evolute” (sulla scia di dischi come “Mardraum” o “Monumension”, per intenderci) ma a mio giudizio non è privo di alcuni difetti che mi sembra doveroso sottolineare. Innanzitutto alcune soluzioni, benché apprezzabili, vengono ripetute con troppa insistenza: alcune canzoni più “asciutte” avrebbero probabilmente funzionato meglio. In secondo luogo la registrazione è decisamente troppo affossata e a tratti perfino confusa; specialmente il cantato risulta assolutamente in secondo piano, distante e spesso quasi sussurrato. Si tratta, credo, di scelte volute ma personalmente avrei gradito suoni più potenti e definiti e una voce più stentorea, che avrebbe forse aumentato il tasso di epicità del disco. Al netto di queste imperfezioni, che riflettono in realtà il gusto personale di chi scrive, si può affermare che “The Line Of The Border” è un lavoro che denota una certa sicurezza e la volontà di percorrere senza ripensamenti un sentiero che potrebbe portare di qui a qualche tempo alla creazione di un sound dai tratti ancora più personali e riconoscibili. Per ora godiamoci questo viaggio, tra possenti iceberg alla deriva su acque gelide ed altrettanto fredde meditazioni introspettive.