Krowos

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È con grande piacere che ospitiamo sulle nostre pagine virtuali i catanesi Krowos, band della quale ci siamo già occupati in occasione dell’uscita di “Verbum Luciferi”, album del 2017 che attualmente rappresenta la loro ultima fatica discografica. Quello che propongono i Krowos è black metal nella sua forma più incontaminata, con un certo sentore di Finlandia che fa capolino qua e là, nel solco di un approccio che nell’assolata Sicilia continua a trovare proseliti. Andiamo quindi a scoprire meglio il loro mondo senza ulteriori indugi attraverso le parole del batterista e chitarrista Frozen che percorrono la carriera della band e toccano argomenti decisamente interessanti…

Salve ragazzi e grazie di averci concesso questa intervista. Siete attivi dal 2012, quando uscì lo split condiviso con i liguri Anar ed intitolato “Ex Profunditate Animae”, quindi vorrei fare insieme a voi un passo indietro nel vostro percorso musicale per sapere che atmosfera si respirava nel 2012 rispetto ad ora, anche se stiamo parlando sempre del nuovo millennio.

Rispondo proponendo un’unica prospettiva a doppia anima, avente quindi valenza sia interna sia esterna, ed ovviamente geo localizzata nell’ambito dell’ambiente in cui vivo. Guardando verso l’interno, si tratta sicuramente di un genere musicale che potremmo definire in qualche modo immutabile – almeno per quel che riguarda le sue fondamenta. E tale condizione, sempre sotto un profilo prettamente personale e soggettivo, permette una sorta di semi-congelamento capace di far scaturire emozioni eternamente uguali nella loro forma basica, ma pur sempre “nuove” e “diverse” poiché di volta in volta modellate su di un soggetto più evoluto – o almeno si spera che sia così, poiché altrimenti lo scorrere del tempo perderebbe ogni sua ragione di esistere. Pertanto, tenderei ad affermare che nulla è cambiato anche se tutto è stato comunque modificato. Quello che mi lascia un po’ perplesso è quando rivolgo lo sguardo verso l’esterno. Rispetto ad una quindicina di anni fa sento difatti meno genuinità musicale e meno interesse verso quelle tematiche peculiari così profondamente legate al genere, tematiche che potenzialmente permettono connessioni con qualcosa di più profondo e intimo. E quanto detto vale indistintamente sia per coloro i quali possono essere definiti “la vecchia guardia” sia per quel che riguarda i nuovi accoliti.

Visto che ti sei occupato della registrazione e del mixaggio… quanto sei stato pignolo per ottenere una riuscita ottimale che ti convincesse appieno? Potrebbe esserci un giorno in cui il musicista Frozen si trasformerà in produttore?

Il “prodotto” musicale ultimato non è mai finito al 100% in quanto, in linea di principio, c’è sempre qualcosa che potrebbe essere migliorata. Tuttavia, generalizzando, a me personalmente interessa raggiungere quel preciso momento in cui – ascoltando la traccia a cui mi sto dedicando – sono in grado di distinguere tutti i singoli strumenti senza però aver in qualche modo mistificato la loro opaca genuinità originale. Posso quindi affermare di non essere attratto dallo studio e dalla ricerca del suono perfetto, pulito, fresco e preciso a tutti i costi. Comunque sia, una volta terminato il missaggio, quel che mi aspetto di ascoltare sono una sequenza di vibrazioni che siano in grado di trasmettere quel concetto lirico/musicale che ho sentito al momento della composizione iniziale. Il resto sono tutte cazzate che denaturalizzano la musica e quindi non mi interessano. Per quel che riguarda la tua seconda domanda la risposta è no, non penso che ci possa essere un futuro in quelle vesti.

Ho notato che nella cover del vostro ultimo album vi sono solo il logo e il titolo: il nero è quello che copre tutto, ogni centimetro sia della copertina che della vostra musica. E invece quanto questo colore riesce a penetrare nella vostra vita quotidiana?

Sì, nella cover del nostro ultimo full length, ormai datato 2017 ed intitolato “Verbum Luciferi” – la quale copertina sarebbe tesa a rappresentare la coperta anteriore di un messale luciferino – il nero è sicuramente il colore predominante. Il nero è un manto capace di avvolgere tutto indistintamente: vita quotidiana, arte, anima, psiche, così come tanti altri aspetti e fenomeni di cui siamo più o meno partecipi in maniera conscia o in maniera totalmente inconscia. È sempre dall’oscurità che tutto scaturisce e che tutto si estingue, che l’essere umano viene al mondo e successivamente muore… non se ne può prescindere, è un passaggio obbligato. Ma è pur sempre grazie all’oscurità che siamo in grado di percepire la luce, sia in senso fisico che figurato.

Nel 2013 siete usciti con l’album di debutto “Enthroning Our End” e nel 2017 appunto è stato pubblicato “Verbum Luciferi”. Nel periodo che va dal 2013 al 2017 quante energie occulte avete raccolto per poi creare il vostro ultimo full?

In realtà, però, è da precisare che nell’arco temporale considerato non siamo stati totalmente inermi, anzi, abbiamo realizzato tre split e una demo tape in acustico di cui andiamo piuttosto fieri. Tuttavia, devo comunque concordare con quanto hai detto perché, mentre “Enthroning Our End” può essere considerato un lavoro di mero istinto e relativamente poco ragionato sul piano compositivo – è stato difatti fondamentalmente ideato, composto e registrato nel giro di qualche settimana –, per quel che riguarda “Verbum Luciferi” si è cominciato a sacrificare tempo e forza all’atto creativo per la realizzazione dell’intero concept già a partire dal 2013, e perciò in concomitanza alle altre produzioni sopra dette. Appare pertanto evidente che ci sia stata una ricerca piuttosto importante nel dettaglio, la quale si può di certo notare nei piccoli particolari che tuttavia soltanto l’ascoltatore attento riuscirà a scovare – anche perché volutamente “nascosti”.

“Frozen” in italiano significa “congelato”: con la vostra musica intendete in qualche modo “ibernare” le menti dei vostri ascoltatori?

Non ho mai composto nulla che abbia avuto lo scopo di imprigionare qualcuno, anzi, ciò che è stato realizzato lo si può considerare come una sorta di liberazione che dall’interno fuoriesce verso l’esterno. Alcuni brani possono sembrare ipnotici, con riff uguali – o comunque molto simili – che si susseguono incessantemente coadiuvati da melodie e da suoni dissonanti ma fungono soltanto da specchio che dipinge ciò che si cela dentro.

Noto che nella track list della vostra ultima release vi sono titoli in lingua Italiana. Secondo te quanto la nostra lingua potrebbe essere “esportata” all’interno dell’universo black metal?

Sì, nella tracklist di “Verbum Luciferi” è possibile leggere qualche parola in italiano (vedasi “Vangelo” e “Offertorio”) ma tutti i testi sono completamente e soltanto in latino. Si è quindi trattato di una scelta meramente estetica. Trovo che questa lingua morta – il latino – aderisca perfettamente alla nostra musica, ma anche al black metal più in generale. Non nego comunque che con Tsade (il cantante del gruppo, ndr) abbiamo pensato più volte alla possibilità di creare qualche brano cantato interamente in lingua italiana, e che quindi esiste una qualche remota probabilità – realizzabile solo nel caso in cui dovessimo riuscire a comporre brano e testo adeguati – di un’eventuale produzione in tal senso. Per rispondere più concretamente alla tua domanda: no, non credo che possa essere esportata all’estero perché con molta probabilità non verrebbe compresa in tutta la sua potenzialità; ma rimane purtuttavia un’ottima opzione per chi intende permanere nei meandri cult dell’underground italiano. Ho sempre guardato con una certa ammirazione a quei gruppi che hanno cercato di far integrare l’italiano al black metal. Tuttavia, devo anche precisare che non tutti vi riescono sempre al meglio e che pertanto diviene difficile apprezzare veramente a pieno questa scelta. Purtroppo, almeno secondo il mio personale punto di vista, si tratta di un’impresa piuttosto ardua perché basta poco per oltrepassare quella sottile linea che divide il black metal – suonato con serietà di valori e di intenti – da ciò che con molta probabilità andrà a scaturire nel “ridicolo”. Ma questo è un problema che potremmo definire endemico in questo genere musicale.

In che modo è stata scelta la cornice che vediamo sul booklet del digipack? Nasconde significati particolari che aderiscono alla vostra musica?

La cornice che trovi sul retro del digipack è sicuramente ricca di simboli esoterici che si legano in maniera particolarmente intensa al concept proposto. Tuttavia, così come per ogni simbolo che possa dirsi tale, anche quelli rappresentati nel nostro artwork, non necessitano di una vera spiegazione – né in questa né in altre sedi. A prescindere dalla loro precisa comprensione conscia, essi continuano difatti a riflettere e a manifestare i concetti, i pensieri e gli istinti primordiali che sono capaci di sprigionare a livello inconscio. Le parole risultano esser quindi inutili, perché sprecare fiato?

Sono curioso di sapere quali sono stati e quali sono i batteristi che hanno influenzato e continuano ad influenzare il tuo modo di suonare lo strumento. C’è qualche marca di batteria che ti attrae particolarmente per il suo suono?

Potrei citarti un centinaio di batteristi come pure nessuno, e sinceramente preferisco questa seconda opzione. Per quel che riguarda la domanda relativa alla marca di batteria posso invece darti una risposta più netta in quanto da diversi anni sono fedele al marchio “Pearl”. Al contrario di quanto detto per i fusti, sono invece da sempre interessato a saggiare nuovi piatti al fine di individuare quelli che in potenza soddisfino maggiormente il sound da me ricercato. E se per alcune parti del set sono riuscito nell’intento prefissato, devo però ancora trovare la formula completa.

Due parole sulla distribuzione e su come la Nigredo Productions ha lavorato con voi: siete completamente soddisfatti e continuerete a lavorare ancora con loro?

Il lavoro e la passione che Katia ha dedicato al nostro progetto sono veramente impagabili. Sì, siamo completamente soddisfatti e quindi speriamo di poter continuare a lavorare con lei e la sua label anche per il prossimo full length – già composto ed in attesa di essere registrato – ed ovviamente migliorare il migliorabile in tutti gli aspetti possibili. E se te lo stessi domandando, no, non sono un leccaculo. Quando dico qualcosa è semplicemente perché lo penso veramente. Infine, sempre in relazione all’ambito produzione e distribuzione, posso dirti che siamo invece alla ricerca di qualche label che possa essere interessata a produrre una serie di split già completi sotto ogni aspetto, sia musicale sia grafico. A tal riguardo, speriamo sinceramente di rilasciare il tutto nel più breve tempo possibile in modo tale da poterci dedicare liberamente al nuovo full length, quello di cui parlavo pocanzi.

Chiudiamo il cerchio di questa intervista con l’ultima domanda che riguarda lo special guest alla tastiera presente sul vostro ultimo album, Maagher Kxeratum. In che modo questo strumento avvolge e incupisce il vostro sound?

Maagher Kxeratum è il chitarrista fondatore degli Arcanum Inferi – gruppo in cui ho militato fino a qualche anno fa –, il quale ha collaborato coi Krowos in diverse occasioni prestando sia la sua penna, poiché ha scritto tutti i testi di “Enthroning Our End”, sia il suo estro musicale, in quanto ha registrato le tastiere in tre brani di “Verbum Luciferi”. In realtà, se guardata nell’ottica dell’intero album, la tastiera è soltanto uno strumento secondario e di contorno, la quale però svolge un ruolo fondamentale nell’economia delle canzoni in cui risulta essere presente. D’altronde, è da dire che non esiste strumento migliore per riuscire nell’intento di trasporre i misteri liturgici in musica.