Harrogat

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Harrogat è un solo project dark ambient che da qualche tempo infesta la scena underground nostrana e che vanta una ormai lunga serie di pubblicazioni, che si muovono sulle coordinate di un sound oscuro e rarefatto, a volte dal piglio più “cinematografico” ed altre invece dall’approccio più meditativo. Abbiamo scambiato qualche impressione con il mastermind che si nasconde dietro a questo progetto, per scoprire qualcosa di più sul suo mondo e sulla natura spesso sfuggente del genere che interpreta, al tempo stesso misterioso e affascinante. Buona lettura!

Parto subito con una prima domanda diretta… Ritieni che la follia e il “lato psichiatrico” di un individuo non perfettamente conforme alla società moderna aiuti a comprendere la natura creativa di un genere come l’ambient?

Come dico sempre io “il dark ambient è l’espressione dell’anima”. Nel dark ambient noi musicisti comunichiamo qualcosa attraverso la nostra musica ma solo pochi adepti possono percepire alcune caratteristiche sullo stato d’animo del compositore. Ovviamente la società moderna non capisce e mai potrà capire il lato artistico e comunicativo delle opere dark ambient; con i ritmi imposti dalla società moderna ascoltare musica e scoprire nuovi artisti è visto come una perdita di tempo.

In che modo la musica del progetto Harrogat potrebbe sposarsi con alcune pellicole (penso ad esempio al genere thriller) e compenetrarsi con il pathos del film?

Vedrei meglio la mia musica in un genere horror più che thriller. La mia musica crea spesso suspense, la cosa che a me piace più di ogni altra nei film horror, oltre al terrore psicologico. Utilizzando molto il drone creo un suono piatto che accresce la suspense, un po’ come quando stai vedendo una scena e dici a te stesso “adesso sicuramente uscirà il mostro, demone o chicchessia” e, nonostante te l’aspetti, ti spaventi comunque. Ecco, lì vedrei bene la mia musica.

Ora una domanda forse scontata ma doverosa sul nuovo parto di Harrogat, intitolato “Compendium”. Parlaci un po’ di questo tuo ultimo lavoro, a partire dalla cover e dal concetto compositivo.

“Compendium” ha voluto portare Harrogat alle origini. Sono innamorato del borgo, ormai in stato di abbandono, chiamato Santa Maria di Galeria, oggi con l’aggiunta di “Antica”. Sì, è stata rifondata la stessa città un paio di chilometri più a valle. Questo borgo, risalente all’epoca etrusca, è ormai abbandonato dal 1809 per via di un’epidemia di malaria. La copertina rappresenta un viaggiatore tra le rovine di un luogo. Quel viaggiatore rappresenta l’ascoltatore, mentre lo sfondo rappresenta il borgo abbandonato. Con “Compendium” ho voluto creare un percorso, come se tu ascoltatore stessi visitando quel luogo. I titoli delle tracce infatti si riferiscono tutti a luoghi esistenti.

Come si riesce ad assorbire il genere ambient e capirne la vera essenza di fondo senza soffermarsi al suo lato più superficiale?

Credo che sia un genere ben poco assorbito dalla maggior parte delle persone quindi penso sia difficile ascoltarlo con un’accurata attenzione. Dobbiamo sempre considerare che la maggior parte delle persone ascolta musica senza conoscere nulla della musica, e giudica una canzone ad orecchio, se gli suona bene o meno. L’ambient è un genere di nicchia, suonato e ascoltato da chi la musica la vuole scoprire e studiare.

Se dovessi collocare il progetto Harrogat nell’antica Roma, quale periodo ne rappresenterebbe meglio l’estro musicale?

Sono romano e lavoro nell’ambito museale, ho a che fare con reperti romani. È difficile collocare la mia musica nell’antica Roma perché Roma era una città con colori accesi ma forse potrebbe essere collocata al crollo dell’impero romano. Quelle costruzioni, una volta imponenti, luoghi dove sono passati gli imperatori, oggi sono ridotti in macerie, spesso decadenti. Forse così posso trovare una motivazione per allocare la mia musica nell’antica Roma.

Se dovessi scegliere una track firmata Harrogat a tuo piacere per descrivere il senso di decadenza della tua musica quale andresti a citare?

Non voglio risultare banale ma direi “Reaper”, dal mio secondo album “Galeria II”. Un suono così cupo non sono mai riuscito a crearlo, neanche con “Ignotus”, l’unica traccia che può tenergli testa ma non riuscirebbe ad eguagliare l’oscurità all’interno di “Reaper”. I tamburi, la tonalità bassa, l’atmosfera, il tempo che scorre in maniera lenta facendoti sentire la lunghezza di ogni singolo secondo che passa. Questa è “Reaper”.

Se invece dovessi riscrivere la Divina Commedia con un solo full length preso dalla tua discografia, quale sceglieresti?

Facile, “Inferno”, il mio penultimo lavoro. È appunto un viaggio nell’Inferno di Dante Alighieri, ogni traccia rappresenta infatti un girone. Ho voluto creare un sound che rispecchia ogni girone, aumentando traccia dopo traccia l’oscurità fino ad arrivare nella Giudecca, ultima traccia, forse la più oscura e pesante di tutto l’album.