Demoncy – Diabolica Blasphemiae

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Quello dei Demoncy non sarà un nome sconosciuto a quanti seguono l’underground black metal a stelle e strisce. Attiva fin dalla fine degli anni ottanta, la band capitanata dal mastermind, cantante e polistrumentista Ixithra ha plasmato nel corso di oltre un trentennio di attività un sound miasmatico, cavernoso e luciferino, abbastanza riconoscibile grazie anche e soprattutto ad un particolare approccio vocale, rilasciando almeno un paio di lavori contornati dal proverbiale alone di “culto”, e mi riferisco a “Within The Sylvian Realms Of Frost” e “Joined In Darkness”. Questo “Diabolica Blasphemiae”, che si presenta con il più classico dei caproni in copertina (fumettoso ma molto ben disegnato), segue di pochissimo l’uscita di “Black Star Gnosis”, ufficialmente un full length ma dalla durata che è quella di un ep, e ci offre tre canzoni incorniciate da un’intro e un’outro dal sapore medieval-ambientale, che poco aggiungono alla release, se non una punta di atmosfera e qualche minuto complessivo. I brani veri e propri sono invece nel classico stile dei Demoncy, nonostante i recenti innesti nella line up di VJS (tra gli altri in Nightbringer e Sargeist) alla chitarra e Vorthrus (Cerebral Rot, Crurifragium) alla batteria.

E realisticamente non sarebbe stato lecito aspettarsi niente di diverso: un riffing serpentino, ondoso, denso e ipnotizzante; una registrazione che predilige i toni bassi, polverosa e soffocata, non dissimile da quella adottata da tanto black metal sudamericano ma molto più controllata e meno confusionaria; un certo sentore di death metal viscerale e old school che emerge qua e là (i riferimenti sono soprattutto agli Incantation); e su tutto la voce di Ixithra, salmodiante, sospirata, trascinata, roca, molto lontana dal classico screaming ululato e selvaggio al quale siamo abituati e per certi aspetti accostabile al timbro di Attila Csihar, per fornire un termine di paragone indubbiamente più noto. C’è quell’indefinibile sapore ritualistico da cerimoniale nero, al netto di qualche momento di maggiore aggressività. E c’è quel suono primordiale, distante dal black metal di matrice nordeuropea e vicino invece a gente come Profanatica, Von e Havoej (non per niente tra gli indiscussi prime movers della scena americana, insieme proprio ai Demoncy), decisamente affine al proto-black metal a cavallo tra fine anni ottanta e primi anni novanta, quando tutto era ancora un calderone ribollente e magmatico.

Tutti tratti distintivi che da sempre caratterizzano le uscite targate Demoncy e che gli aficionados della prima ora potranno ritrovare anche in questi pezzi. Perché questo breve lavoro, che oggettivamente non aggiunge e non toglie niente alla carriera dei nostri amici, sembra essere rivolto principalmente a loro. Per tutti gli altri si tratta di un gradevole tassello nella discografia di una band che in passato ha saputo fare anche di meglio e potrebbe essere l’occasione giusta per approcciarsi ad una realtà a suo modo “storica” ma forse meno conosciuta di tante altre.