Il black metal, e il metal più in generale, lo sappiamo bene, oscilla costantemente tra la più intollerante e quadrata ortodossia musicale e concettuale e le più ampie e sorprendenti contaminazioni: questa sua essenza duplice ha portato il nostro genere preferito a ramificarsi, a inglobare svariate influenze e a seguire sentieri inusitati, che certamente in pochi avrebbero potuto prevedere quando il metallo nero era tutto chiodi, asce, linguacce e face painting. Da ormai un decennio abbondante, ma anche di più, la luce sembra aver in qualche modo incontrato le tenebre, dando vita ad una pletora di ibridi post black metal, che sono in realtà un vero calderone ma sembrano avere in comune l’inclinazione ad unire ferocia e delicatezza, anche in maniera brusca, per esprimere un certo struggimento emotivo che fa rima con angoscia e inquietudine esistenziale. Quel sentimento informe eppure potentissimo che Beaudelaire chiamava spleen: tecnicamente la milza; per il poeta maledetto per eccellenza è uno stato d’animo caratterizzato da profonda malinconia, noia, insofferenza e male di vivere. E da qui prendono il nome gli Splēne (non ne sono sicuro ma mi piace pensare che sia così), band italiana di recente formazione, la cui musica può certamente essere ricondotta alla definizione “post black metal”.

Questo “Desire Path” è il loro demo d’esordio e se amate gente come Alcest, Lantlôs, Harakiri For The Sky e Deafheaven (che forse sono quelli che hanno definitivamente sdoganato il filone) allora qui probabilmente troverete pane per i vostri denti. I nostri amici infatti spaziano con una certa naturalezza da un black metal dalle tinte darkeggianti, a tratti anche molto aggressivo, a momenti a loro modo eterei, decisamente più vicini a certo rock “triste” in salsa shoegaze. Passaggi oscuri e pesanti, altri più intricati e dissonanti, vagamente sognanti e irrequieti oppure frenetici e viscerali, aperture melodiche di più ampio respiro e intrusioni dal sapore quasi psichedelico si alternano per tutta la durata del lavoro in brani dalle strutture discretamente fluide, giocati però soprattutto su una certa impulsività espressiva che intende colpire e coinvolgere l’ascoltatore, diventando il principale veicolo di ciò che la band tenta di esprimere e “coprendo” una resa sonora certamente non perfetta.

È quasi superfluo sottolineare che se il vostro cuoricino batte solo per il black metal vecchio stampo qui non ne troverete affatto ma fortunatamente siamo lontani mille miglia dalle derive pericolosamente “hipster” che a volte sono associate a questo genere di sonorità eterodosse: la violenza infatti non manca, anche se è, per così dire, una violenza di natura introspettiva, intrisa di amara consapevolezza e umore nero. Non mi pare opportuno citare una canzone piuttosto che un’altra perché questo “sentiero del desiderio” va percorso per intero dal momento che tutti i pezzi, pur nelle loro singole sfaccettature, sembrano essere organicamente uniti da un comune denominatore che è emotivo prima ancora che musicale. Sia chiaro, gli Splēne non inventano nulla però si pongono nel solco del blackgaze (chiamiamolo così) mettendo in mostra chiarezza d’idee e una certa maturità compositiva. Ascolto consigliato se siete alle ricerca di un accompagnamento musicale per le vostre riflessioni più intime e spietate.