Urluk – More

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A un anno di distanza circa dall’ep di debutto “Loss”, ecco tornare in pista i milanesi Urluk con “More”, full length di debutto che del suo predecessore rappresenta il seguito a livello concettuale, come ha avuto modo di spiegarci il chitarrista U. in una recente intervista apparsa sulle nostre pagine virtuali: ““More” a livello lirico è la naturale prosecuzione di “Loss”. In questi mesi, mentre sviluppavo il concept lirico, ho ragionato su cosa fosse consequenziale alla perdita, qualcosa che rimane, in maniera cronica e irrimediabile, e ho pensato ovviamente alla malinconia. Ho voluto dare un duplice significato al titolo: cosa c’e di “più” (“More”) forte del sentimento della perdita e dopo la perdita? Rimane solo la malinconia (Melancholy Only REmains)”. Una continuità che possiamo riscontrare anche dal punto di vista squisitamente musicale visto che siamo sempre dalle parti di un black/doom dal piglio autunnale che spesso e volentieri sfocia in momenti riconducibili al filone depressive. Anche se questo nuovo parto della creatura Urluk, mette in evidenza una certa maturazione compositiva e una maggiore chiarezza di intenti, oltre a essere graziato da una produzione decisamente migliore che rende il suono meno grezzo, più avvolgente e levigato (la batteria ha un suono bello pieno e rotondo, le chitarre invece sono più grattuggiate).

E colpisce soprattutto la naturalezza con la quale i nostri amici uniscono nelle varie canzoni un piglio più ruvido e disperato, ben veicolato da un riffing circolare e ipnotico che in più di un’occasione mi ha ricordato gente come Nocturnal Depression, primi Forgotten Tomb e perfino Wigrid, con momenti invece più introspettivi e riflessivi ma altrettanto carichi di cupi pensieri. Questi elementi erano già presenti nel precedente ep ma in quest’occasione il tutto fluisce in maniera più compatta, ad esempio attraverso i cambi di tempo dettati dalla batteria, che solo a tratti si lascia andare al classico blast beat, oppure alcuni sprazzi acustici, o i passaggi nei quali la melodia prende il sopravvento o ancora la presenza di clean vocals dal tono salmodiante e in qualche modo liturgico, come avviene ad esempio nel chorus di “Haunted”, probabilmente il brano di maggior impatto al primo ascolto, che credo non a caso sia stato posto al centro della tracklist, quasi a rappresentare il cuore emotivo dell’album. Lo screaming è invece molto duro e monolitico: si tratta probabilmente di una scelta ben precisa, connessa al mood delle canzoni e del disco nel suo insieme ma, volendo essere pignoli e muovere un piccolo appunto (il così detto pelo nell’uovo), si potrebbe dire che è forse un po’ troppo statico e poco espressivo.

Ma si tratta di un peccato assolutamente veniale perché “More” scorre bene e saprà certamente catturarvi con le sue atmosfere plumbee e oppressive e mai troppo enfatiche, specie se ascoltato con una grigia e umida giornata di novembre a fare da ideale contorno alle sue meste note. Discorso a parte merita la title track, posta in chiusura: un brano sospeso tra inquietudine e cimiteriale amarezza, interamente cantato con voce pulita, nel quale gli Urluk lasciano totale spazio al lato acustico del loro songwriting, accomiatandosi con gran classe e lasciandoci con quella che ha l’aria di essere un’anticipazione della direzione musicale che la band potrebbe prendere nel prossimo futuro (e davvero non sarebbe male). “More” non inventa nulla, sia chiaro: gli elementi che lo compongono sono ben noti e le soluzioni adottate le abbiamo già sentite in passato ma in definitiva poco importa quando ispirazione ed emozione riescono ad andare di pari passo come in questo caso. Un disco che potrà piacere tanto agli amanti del black metal di matrice depressive quanto a chi predilige sonorità doom più tradizionali.