Continuiamo la nostra esplorazione dell’underground sardo e dopo avervi parlato delle ultime fatiche di Unholy Impurity e Vultur (andate a cercarvi e leggervi le recensioni, se volete) vi presentiamo i Cogas (che significa “streghe” in sardo), quartetto dedito ad un furioso black/death metal che è sì originario della Sardegna ma i cui membri si sono trasferiti da qualche tempo a Londra e che ha pubblicato da poco l’ultimo lavoro “Among The Dead: How To Become A Ghost”, rigorosamente autoprodotto. L’occasione è quindi propizia per far luce, attraverso le parole del loquace singer Piero Paranoia, su questo album e più in generale sull’immaginario della band e su diversi altri temi. Buona lettura!
Ciao Piero, benvenuto su BMIK! Partiamo con una panoramica: cos’è successo dal vostro ultimo album del 2021 “Unconscious Sons Of The Reptile God” fino ad oggi? Come si sono evolute le cose per voi in questi ultimi anni?
Ciao ragazzi, innanzitutto grazie dell’invito alla chiacchierata, che fa sempre piacere quando riguarda le nefandezze dei Cogas. Cos’è successo dal 2021 ad ora?! Un susseguirsi di eventi al limite del tragicomico sia a livello puramente musicale, per quanto riguarda la nostra line up,che personale per quanto riguarda la vita dei singoli membri della band, tanto da farmi pensare ogni tanto che i Cogas portino sfiga (suggerisco al lettore di questa intervista una vigorosa grattata di palle con doppio scappellamento a sinistra come se fosse Antani). Dunque iniziamo, praticamente pochi mesi dopo l’uscita del nostro beneamato “Unconscious Sons Of The Reptile God”, il nostro batterista originale Francis Ball e i Cogas decidono che è meglio prendere strade diverse, sai quando non hai il coraggio di lasciare il tuo compagno/a e incominci a fare lo stronzo per farti mandare a cagare?! Ecco, è successo questo. Nonostante il bruciore di stomaco iniziale, tuttora siamo in ottimi rapporti, anche per il prezioso aiuto fornitoci con due ep e un full lenght (diamo a Cesare quel che è di Cesare, come si suol dire) e qualche comparsata in sede live nel recente passato che ci ha salvato dall’oblio della non attività dal vivo. Insomma siamo nel 2022, il nulla cosmico, batteristi che si propongono e non si presentano alle prove, batteristi troppo inesperti per suonare i nostri ritmi, batteristi che vengono alle prove ma con evidenti problemi di dipendenze, concerti importanti a cui dobbiamo rinunciare per ovvi motivi. Le cose andavano male, anzi malissimo. Ad un certo punto, sarà stato il 2023 se non sbaglio, riusciamo a trovare un cristiano decente da mettere dietro alle pelli, Dan Danby. Dan per noi e` stato fondamentale per farci sentire nuovamente una band, il torpore di due anni di incertezze sembrava dissolversi prova dopo prova, ma non senza turbolenze. Il nostro bassista storico Mike Poplawsky lascia Londra e parte per la Svezia, non c’è mai pace in questa cazzo di band. Mike è stato per noi un punto cardine, una persona che si è sempre fatta il culo per il gruppo e ci ha sempre creduto, talmente tanto da rimanere all’interno della band per diversi mesi dopo aver annunciato il suo ritiro, solo per permettere al nuovo bassista di ambientarsi bene,non è una cosa da tutti, a lui la nostra etrerna gratitudine. Entra quindi in formazione Gianmaria Rubiu, sardo che più sardo non si può, grandi felicitazioni sia per il feeling immediato che per le doti tecniche di quello che a mio parere è a Londra uno dei migliori bassisti in questo momento. In tutto questo tumulto, io e Davide continuiamo a buttare giù idee per quel quello che sarà il nostro nuovo album, è un periodo di grande eccitazione, i nuovi membri vogliono imprimere al più presto la loro impronta sulla band e quindi lavoriamo tutti con grande energia, facciamo un qualche live e tanta saletta, quando ad un certo punto Dan è costretto a lasciare la band per motivi personali. Ovviamente il morale è a terra ma riusciamo a tirarci su per due motivi. Motivo uno : la composizione dell’album è praticamente finita. Motivo due: riusciamo nonostante tutto a fare delle performance live con l’aiuto di Davide Marini ed il nostro batterista originale Francis Ball, che permettono al nome dei Cogas di tenersi a galla. Arriviamo al 2024, io Davide e Gio ci guardiamo in faccia e decidiamo che è giunto il momento di registrare questo stramaledetto album. Chiamiamo il nostro amico Davide Marini e gli diamo in braccio il nostro bambino con piena fiducia nei suoi mezzi musicali, con solo questo appunto: “registra la batteria più violenta che abbia mai fatto”. E così fece, ora siamo nel 2025, abbiamo un nuovo batterista ufficiale, Lorenzo Balia dei mitici Vultur, e l’album è uscito da poco. Il morale è alto.

Dal tuo punto di vista, com’è cambiato il vostro sound in quest’ultimo album rispetto ai lavori precedenti? Ci racconti qualcosa in più sulle tematiche che affrontate nel disco, i tempi e il processo di composizione? Dove lo avete registrato?
Il nostro sound credo che più che essere cambiato sia semplicemente maturato, o meglio abbiamo analizzato quelli che erano i punti di forza del precedente album e ne abbiamo enfatizzato gli aspetti tecnici. È decisamente un album dal songwriting complesso, della durata di tre anni, Davide e`stato geniale nel riuscire a far sposare la tipica malinconia sonora dei Cogas con una violenza alla Belphegor che tanto ci ha influenzato l’orecchio in questi anni. La tematica che viene affrontata in questa nostra ultima fatica ci sta veramente a cuore. “Among The Dead: How To Become A Ghost” infatti parla della piaga dei suicidi giovanili in Sardegna, qualcosa che a mia memoria non è mai stato affrontato in maniera così diretta da nessuna band sarda in passato, un po’ per ignoranza un po’ anche perchè è una cosa talmente tanto diffusa da tempi immemori che dev’essere stata assimilita dalla popolazione sarda a livello culturale, e normalizzata. L’album trasuda rabbia, di quella rabbia doveper cui sbavi e piangi allo stesso tempo. È un album provocatorio, che vuole suscitare emozioni, e noi ci prendiamo la responsabilità di essere parafulmine di queste emozioni, nel bene e nel male.
La band è di base a Londra: sentite ancora un legame forte con la vostra terra d’origine? E com’è il vostro rapporto con la scena musicale londinese, sia in termini di pubblico che di locali?
Non posso fare le veci di tuttti i membri della band su questa domanda perciò ti do solo la mia opinione a riguardo. Non mi sento più di appartenere a nessun posto da molti anni ormai, la Sardegna suscita in me emozioni contrastanti di amore e odio. Amore, per via di tutti gli affetti lasciati là. Odio, per via del fatto che una terra così meravigliosa mi abbia costretto ad emigrare permanentemente in un altro paese sradicando dalla mia anima la mia identità, diventando un mister nessuno, non la perdonerò mai per questo. Ci sono tante cose che mi fanno incazzare della Sardegna, prima tra tutte la scarsa capacità di autocritica della gente che ci vive, il sardo mitizza la terra dove vive ed il suo comportamento, con un velato senso di superiorità nei confronti degli altri popoli e dei sardi stessi, a seconda delle zone in cui abitano. Io non sono da meno. Per quanto riguarda la scena musicale londinese, diciamo che ci siamo sempre stati in mezzo dal primo giorno ma, parliamoci chiaro, non è diversa dalla scena musicale di qualsiasi altro posto, con le sue mafiette e leccate di culo plateali. A me queste cose fanno vomitare, mi fanno vedere il mondo musicale con il quale mi relaziono con estremo disprezzo e disillusione per un genere musicale che per me ha significato tutto in termini di come ho impostato la mia vita nel corso degli anni, per vedere e toccare con mano in fin dei conti che è tutto finto, è tutta una questione di quanto sei bravo con photoshop, di come imposti i tuoi canali social, di quanto esci bello nelle foto, di quanto vai in palestra, di quanto sei una persona equilibrata, di quanto sei “politically correct” anche se suoni un genere come il death metal. Per quanto riguarda il pubblico, ho smesso di preoccuparmi di loro tempo fa, non mi interessa più per chi suoniamo, noi vogliamo renderti partecipe della nostra visione ed estetica, se ti piace bene, altrimenti senno ti suggerisco di andare a farti la foto con la statua di Amy Winehouse a Candem Town.

Parliamo dell’aspetto discografico: chi si è occupato della pubblicazione del nuovo album e in quali formati sarà disponibile? Negli ultimi anni ci sono state label che hanno mostrato particolare interesse o dato un supporto concreto al progetto Cogas?
I Cogas dal primo ep ad oggi sono una band autoprodotta. Con gran orgoglio facciamo parte della working class inglese e, non navigando nell’oro, non nego che un aiuto e qualche riconoscimento per l’etica musicale che proponiamo da anni ci farebbe più che piacere, ma purtroppo non c’è stato nessuno realmente interessato al progetto. Siamo stati molto vicini a pubblicare con una label il nostro ultimo lavoro ma non abbiamo trovato un punto di incontro su temi fondamentali per me e Davide, temi che riguardano estetica e durata del disco. Io e Davide siamo molto intransigenti su determinate cose, pensiamo seriamente che se sei interessato ai Cogas devi rispettare la nostra visione, che si è cementificata nelle nostre menti attraverso anni di sacrifici. Ciò nonostante i Cogas hanno sempre avuto due o tre alleati muoversi nell’ombra, che hanno permesso alla band di avere una visibilità ed una dignità nell’underground del metal estremo pur essendo una proposta musicale indipendente. Anubi Press che crede nei Cogas dai tempi del primo album e si occupa della promozione, e UKEM Records che si è proposta di ristampare i nostri album in formato cassetta con gran risultati in termini di vendite. Questi al momento sono i nostri unici aiuti concreti per dare più di visibilità ad un progetto musicale che è duro a morire.
Passando alla lineup: il vostro nuovo batterista Lorenzo Balia, già attivo con i sardi Vultur, vive attualmente fuori dal Regno Unito. Come riuscite a gestire la distanza per le prove e i live? Pensate che Lorenzo farà parte anche delle future registrazioni in studio?
Santo Lorenzo Balia da Quartu! Lorenzo aveva già comunicato il suo interesse nei nostri confronti in tempi passati ma avevamo dovuto declinare la sua proposta per paura della questione “distanza” ed anche perché in quei giorni Dan Danby si stava facendo vivo, e tra un batterista a distanza ed uno in casa scegliemmo quest’ultimo. Ora dopo quasi sette mesi possiamo dire che Lorenzo è un membro ufficiale dei Cogas e fa parte del futuro della band. Con lui in formazione tutto esce estremamente naturale, e ciò è dovuto al fatto che parliamo la stessa lingua ed è un musicista molto preparato, basti pensare che abbiamo fatto una sola prova prima del suo debutto live il mese scorso, live in cui si è reso protagonista di una grande performance. Picchia come un disperato, lo adoriamo, ed è preso dal progetto a livello concettuale, cosa che per noi vale oro!

Cosa rappresenta per voi oggi il “black metal”? Cosa vi motiva a portare avanti questo progetto dopo tutto il percorso fatto finora?
Quello che rappresenta per me ed il modo in cui viene rappresentato oggi giorno son due cose diverse. Questa è una domanda a cui si può rispondere o con un pippone o esprimendo un concetto breve, opterò per quest’ultimo. Il black metal e il death metal per me sono un ricordo specifico, sono io a sedici anni che torno a casa di notte in bicicletta dalla saletta dove con i miei amici ascoltavamo dischi e bevevamo birra calda. Il freddo dell’umido oristanese mi entra nei polmoni, sono incazzato nero perché le cuffie del mio mp3 si sono rotte e non posso ascoltare le mie band preferite, per me contava solo questo, ascoltare quelle band maledette per sentirmi parte di un qualcosa che tutt’ora non so spiegarmi. Per citare una canzone a me molto cara: “We feel nothing / And are nothing / Traveling elitists / Rejecting weakness / We stand alone / Pride does not die / Kings in your dreams / Slaves to this nightmare”.

Restando sul nuovo disco: chi ha curato l’artwork? Cosa rappresenta visivamente e in che modo vuole accompagnare l’ascoltatore dentro l’atmosfera del disco?
L’artwork e` stato curato dalla talentuosa Ilaria Gorgoni, anche lei sarda, un’artista dalla pazienza infinita ed una sensibilità nell’approcciare l’arte tipica di quelle anime candide che oramai sono così rare in questo ambiente. La copertina del disco ha come figura centrale un ragazzo con le mani sul volto, in un momento molto buio della sua vita, un ragazzo con problemi di depressione e tossicodipendenza, che vuole farla finita… mille facce, un solo fine. Di fianco a lui abbiamo voluto mettere due Cogas (per chi non sapesse il nostro nome deriva da queste streghe vampiro del folklore sardo), volte a sussurrare nel suo orecchio malvagità ed incertezze, instillando il seme dell’invidia, del tradimento e dell’autodistruzione, insomma un nostro personale omaggio al maligno. Chi ha l’occhio da lince come me noterà sicuramente fuori dalla finestra tre lune, un richiamo alla copertina dell’album precedente ed il nostro modo di dire che i nostri cuori hanno casa in un mondo di mezzo, come quella luce indecifrabile che si può trovare solo nelle albe e nei tramonti. La copertina ti vuole portare dentro quella stanza, in quel momento, dove ognuno di noi è stato almeno una volta nella sua vita.
C’è un brano in particolare che, secondo te, incarna al meglio l’essenza dell’album?
Più di uno, sono molto legato a due in particolare, il brano d’apertura “Death Reflected”, e la traccia di chiusura “La Fiamma Che Respiro”. Ma fondamentalmente tutti i brani hanno al loro interno qualche frase che è scaturita da momenti di profonda riflessione nel corso di questi anni. Tutti i brani hanno un significato speciale per me, ora è tempo che voi li facciate vostri.

Guardando al futuro: avete già in cantiere altri progetti, sia a livello discografico che live? Puoi anticiparci qualcosa?
Posso dire con orgoglio che siamo già in un momento di scrittura del nuovo album, è ancora in fase embrionale ma abbiamo già una traccia ed il titolo dell’album, che per me e`una cosa da decidere subito poiché segna indelebilmente il mood del prossimo disco in fase di composizione. Sono così contento di questa fame che io e Davide ci portiamo dietro da quasi un decennio, siamo sempre ispirati ,abbiamo tante cose ancora da far dire alle nostre anime. Per quanto riguarda i live, partiremo in un piccolo tour nel nord Inghilterra a giugno, siamo molto contenti dato che il nostro obiettivo da un paio di anni è quello di suonare fuori Londra il più possibile, non vediamo l’ora di stringere nuove alleanze e rompere qualche timpano.
Questa è una mia domanda “di rito”, che faccio spesso: che consiglio daresti alle nuove generazioni che si stanno avvicinando al metal?
Consiglio di non essere troppo voraci nell’ascolto ,prendetevi del tempo prima di passare alla prossima band. So che con le nuove piattaforme come spotify sei super stimolato ad ascoltare tremila band ma in realtà, di queste tremila, quante ti rimangono dentro? Non abbiate paura di prendervi il vostro tempo e soprattutto leggete i testi cazzo!
Grazie per il tuo tempo, Piero. Ti va di lasciare un messaggio ai lettori di BMIK?
Grazie a voi per essere arrivati alla fine di quest’intervista, spero di avervi avvicinato ai Cogas un po` di più oltre la musica. Diventare il fantasma di sé stessi è un attimo. Spezzate le catene che voi stessi avete messo ai vostri polsi.