Khold – Svartsyn

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Premessa: sentivamo la mancanza di un nuovo disco dei Khold? Difficile rispondere, anche se probabilmente si innalzerebbe un coro più propenso al “no”, vuoi perché dal 2014, anno d’uscita di “Til Endes”, ultimo lavoro della band, di bei dischi nei nostri lettori ne sono passati, vuoi perché si fa presto a mettere da parte un gruppo che, seppure onesto, in effetti non ha mai inventato nulla. Formatasi nel 2000 a Oslo, qualche anno dopo le famose vicende collegate all’inner circle, la band di Gard è riuscita ad inanellare una serie di dischi discreti, costruendo uno stile a metà strada tra i Satyricon più rockeggianti e i Taake più oscuri, rimanendo sempre fedele a questa impostazione, senza mai stravolgere il suo approccio al black metal più genuino e minimale. “Svartsyn” segna un ritorno, per certi versi inaspettato, che prosegue lungo questa strada e in sostanza non aggiunge e non toglie nulla alla discografia della band. Fa però comunque piacere vedere come un gruppo di veterani, nonostante passino gli anni e le mode anche negli ambienti underground, riesca a racimolare le idee per produrre nuovo materiale inedito che, come in questo caso e al netto delle considerazioni appena fatte, strappa più consensi che indifferenza. La formula della band per questo settimo sigillo in vent’anni di carriera è la stessa collaudata in tutta la sua storia discografica, black n’roll dalle tinte oscure dove i mid tempos prevalgono sulle accelerate e l’headbanging la fa da padrone.

Nulla è cambiato in questi otto anni e lo si evince fin dalla copertina minimalista, che riporta il nostro eroe pelato in primo piano, oggettivamente non bella ma in linea con le precedenti, come se volesse sottolineare un tratto d’unione con il passato della band, riuscendoci alla grande perché, appena partiamo con il tasto play, veniamo assaliti dall’opener, ed è subito old school. Ebbene sì, il tempo di capire cosa sta succedendo, e canzoni come “Apostel” e “Skarpretter” ci ricordano che tutto è rimasto dove lo avevamo lasciato, come quando si entra in una vecchia stanza e si ritrova tutto al suo posto, con la polvere degli anni a ricoprire la superfice dei mobili. “Svartsyn” è un viaggio indietro nel tempo che non delude, condito da riff minimali a metà tra black metal e un retrogusto hard rock/punk primordiale, diretti ed efficaci.

Non c’è un momento di stanca e i pezzi scorrono che è un piacere, con momenti di pura classe, come la drammatica “Evig”, l’oscura e ipnotica “Dystopi” e la conclusiva, cadenzata “Bryt I Udåd Ut”, ma in fin dei conti sarebbero da citare tutte, perché la band, pur senza fare nulla di epocale, riesce a tirare fuori quaranta minuti di black metal ortodosso e ignorante che fa tranquillamente a meno di modernismi o abbellimenti vari. Il tutto viene sottolineato da una produzione ruvida e standard, che non esagera con il volume (decisamente troppo basso) ma esalta la potenza degli strumenti, senza che uno sottometta l’altro. Parlare di epico ritorno viene difficile ma i Khold, a distanza di quasi un decennio, fanno capolino con un disco quadrato e ben suonato, che guarda alla tradizione norvegese con fare orgoglioso, coscienti del fatto di poter dire la loro grazie alla capacità dei singoli musicisti di proporre un platter sincero che, ascolto dopo ascolto, si fissa in testa per rimanerci a lungo con le sue accattivanti e lineari melodie. Conferma.